Telecomunicazioni e incomunicabilità

Sul Corriere della Sera di ieri, a pag. 34, campeggiava un annuncio a pagamento con una lettera indirizzata dai 2200 informatici Telecom Italia all'Amministratore Delegato della società Franco Bernabè. Come è noto (forse non abbastanza) nei prossimi programmi di Telecom c'è l'esternalizzazione del ramo IT dell'azienda. In risposta a questo, i lavoratori hanno "esternato" i loro dubbi e le loro preoccupazioni. Ma lo hanno fatto con qualcosa che assomiglia di più a un documento aziendale interno che ad un messaggio rivolto all'esterno. Non è per dire, ma quasi nello stesso momento Beppe Grillo faceva ingresso all'assemblea degli azionisti Telecom con una fascia nera al braccio per "celebrare il funerale dell'azienda". Ora, si può anche non essere d'accordo con Grillo, ma perlomeno lui sa farsi capire. Arriva più forte e chiara la sua fascia a lutto che non quella mezza pagina "tutto piombo" scritta in un oscuro linguaggio sindacalese-informatico. I futuri esternalizzati Telecom avrebbero potuto almeno farsi aiutare dai colleghi del settore comunicazione e marketing dell'azienda che sicuramente sanno comunicare meglio dei sindacati. Invece, hanno perso un'occasione: hanno speso inutilmente dei soldi per far uscire su un mezzo a larga diffusione un messaggio incomprensibile con un format sbagliato e per di più una volta sola. È il solito problema della sinistra che dopo essersi rifiutata di utilizzare per cinquant'anni gli strumenti della comunicazione – forse per pregiudizio ideologico – continua a non saperli usare e, se tenta di usarli, continua a ignorarne la logica. Ormai è tardi per discutere di chi abbia portato la Telecom a questo disastro: sono passate generazioni di dirigenti strategicamente incapaci, appoggiati da politici irresponsabili (spesso di centrosinistra) se non proprio incompetenti. È più interessante osservare quali sono state le reazioni dell'azienda alle due azioni di comunicazione. Bernabè, colto alla sprovvista da Grillo, ha ribadito che «Telecom è un’azienda sana, viva e vivace e ha tutto il potenziale per tornare uno dei protagonisti». E qui l'uso del verbo "tornare" equivale ad ammettere implicitamente la crisi dell'azienda. Più abile la risposta del presidente Telecom, Gabriele Galateri, rivolta senza dubbio agli azionisti ma che sembrava rispondere indirettamente anche agli informatici: «La ristrutturazione è necessaria per essere competitivi, per stare sul mercato e questo non vuol dire essere in crisi ma essere un’azienda viva». Un messaggio rassicurante che denota anche una grande sensibilità verso i lavoratori… come se il pilota di una mongolfiera che sta perdendo quota si appresti a tagliare la corda con cui tiene appeso nel vuoto, a mo' di zavorra, un membro dell'equipaggio dicendogli: «Mors tua, vita mea». Detto fuor di metafora: quando le cose vanno male, i dirigenti italiani finiscono davvero per tagliare la corda, ma nell'altro senso.

Ecco il link per leggere o scaricare la lettera dei lavoratori del settore IT Telecom.

Ed ecco l'intervento di Grillo all'assemblea degli azionisti Telecom, il 29 aprile 2010.

  • Luca Marcon |

    Grazie per la risposta, replico a mia volta.
    Effettivamente non avevo inteso bene il senso di questa rubrica. Però le faccio comunque notare una cosa. Delle esternalizzazioni di Telecom Italia (non solo di quest’ultima di IT in SSC) non ne ha praticamente mai parlato nessun media. Eppure vanno avanti da dieci anni e hanno permesso a Telecom di scaricare sulle spalle della collettività (attraverso CIGS e mobilità) – quindi anche sulle sue – e poi direttamente sulla strada, quota parte del proprio costo del lavoro. E comunque una parte non certo indifferente. Gli utili invece, se li sono tenuti ben stretti: per gli azionisti, e per loro stessi (intendo gli amministratori) autoelargendosi bonus assai cospicui.
    E oggi, che succede? Finalmente un gruppo autoorganizzato di lavoratori raccoglie i fondi per far pubblicare su di un quotidiano a tiratura nazionale una lettera (brutta finché si vuole, ma i cui contenuti sono comprensibili “quasi” – le concedo il quasi – da chiunque) dove denuncia quanto sta accadendo, e nessun media dice nulla di nulla; per contro arriva lei, piglia la lettera e – è il suo mestiere – la “sviscera” dal punto di vista della comunicazione e della strategia. E la fa a pezzi.
    Ora: comprende l’ingiustizia della situazione? L’unica voce di un professionista che si ode nel deserto dell’informazione è la sua: e questa voce “spara” su questi poveri malcapitati, indifferente al fatto che siano e costituiscano l’anello debole – anzi, debolissimo – di tutta questa lunga catena.
    Di fatto, ciò che le “rimprovero” (rimprovero si fa per dire, ovviamente) è questo.
    Ps
    Sì, la mia prima domanda era retorica.

  • Bruno Ballardini |

    Gentile Luca Marcon,
    cercherò di rispondere in modo chiaro alle sue due domande perché forse non è stato ben compreso il senso della mia rubrica. Nella prima, lei mi chiede “perché nessun giornalista e nessun altro giornale si siano voluti occupare del problema delle esternalizzazioni”. Ogni giornalista e ogni giornale possono avere le più diverse motivazioni per non occuparsi di un determinato argomento. E quindi, per correttezza, dovrebbe chiederlo a loro, non a me. Posso solo azzardare un’ipotesi: forse in termini di “notiziabilità” la vicenda veniva dopo quella di Eutelia e quindi, immagino che dal loro punto di vista l’interesse per questo genere di notizie sia andato scemando nel tempo. Detto brutalmente: in questo momento gli informatici della Telecom non sono affatto più speciali degli altri lavoratori nell’ambito della drammatica situazione italiana del lavoro e poi, insomma, di esternalizzazioni ne hanno già parlato. I giornalisti, si sa, sono una categoria opportunista e cinica, ma forse la sua era una domanda retorica. Posso rispondere per me, e infatti vengo subito alla sua seconda domanda: perché non mi occupo di esternalizzazioni “invece di discettare abilmente di metalli pesanti e di linguaggi oscuri”? Perché, vede, io non mi occupo di politica, ma analizzo da professionista ciò che rientra nel mio campo di competenze, cioè la comunicazione e la strategie. A ognuno il suo mestiere. Se vuole che qualcuno tratti il problema politico delle esternalizzazioni dovrebbe rivolgersi a giornalisti che si occupano di economia e di politica. Possibilmente della carta stampata. Perché i nostri politici continuano a soffrire di un certo “digital divide” e a non leggere cosa si scrive di loro sul web, a meno che non si tratti di Dagospia (che però si fanno prontamente stampare su carta dai loro portaborse). D’altra parte, se li immagina lei i nostri ministri in giro per blog e aggregatori vari con un portatile? No eh? Nemmeno io.

  • Luca Marcon |

    Gentile dottor Ballardini, pongo anche a lei la stessa domanda che ho rivolto ad un suo autorevole collega, tra l’altro co-autore del libro “L’Affare Telecom”.
    Perché nessun giornalista e soprattutto nessun giornale si sono voluti e si vogliono occupare del problema delle esternalizzazioni di Telecom Italia?
    e approfitto dell’occasione per aggiungerne un’altra:
    Perché lei, invece di discettare – peraltro abilmente – di “metalli pesanti e linguaggi oscuri” non si occupa direttamente del problema delle esternalizzazioni di Telecom Italia?
    Grazie e saluti, Luca Marcon

  • Nino Festini |

    Gentili colleghi e signori giornalisti, sono anch’io un dipendente esternalizzato Telecom e non intendo entrare nel merito delle argomentazioni citate, che dal mio punto di vista sono tutte molto valide.
    Volevo soltanto informarvi del fatto che il problema della comunicazione ce lo siamo posti eccome, chi ha gestito l’operazione sa benissimo che da Napoli (sede a cui appartengo) come da altre sedi d’Italia sono partite svariate proposte alternative alla lettera, della quale è bene dirlo abbiamo condiviso ed apprezzato in toto il contenuto.
    Era evidente e calcolato il rischio della mancata ricezione, da parte dei lettori, del messaggio che si voleva lanciare, ma i problemi che ci hanno posto gli interlocutori della testata con la quale abbiamo provato a pubblicare, hanno avuto un peso non da poco sulla possibilità di cambiare in corso d’opera il messaggio.
    Ad esempio il costo dell’operazione che sarebbe variato in funzione della richesta di pubblicazione di foto o messaggi, articolati graficamente in maniera più o meno complessa. Abbiamo inviato documentazione con foto di manichini impiccati con scritte a caratteri cubitali che richiamassero l’attenzione del lettore , con logo Telecom in buona vista anche questo rivisitato in chiave grafica (cosa che abbiamo sfruttato localmente con manifestini a colori che abbiamo poi distribuito), ma non c’è stato il tempo di far circolare tutte queste proposte e condividerle a livello nazionale, perchè tutti da Trento a Palermo abbiamo dato il nostro contributo.
    Non è stato possibile articolare una nuova proposta anche perchè il breve tempo intercorso, dal rifiuto di una testata all’accettazione dell’altra, non ci ha permesso di vagliare le proposte arrivate, pertanto non restava a quel punto che far pubblicare qualcosa che tutti avevamo già approvato e condiviso.
    Non è stato facile per i colleghi che hanno dovuto decidere per migliaia di lavoratori, con migliaia di euro raccolti e provare a mettere d’accordo tutti, non resta che ringraziarli per tutto quello che hanno fatto.
    Legittimiamo anche quel poco di inesperienza ,che ritengo assolutamente fisiologica, per chi è animato di buona volontà ma non pronto ad una forma di rivendicazione così ampia e distribuita sul territorio nazionale.
    E’ facile parlare quando si naviga quotidianamente in un contesto come quello giornalistico avendo ben chiare certe dinamiche, molto più difficle è stato per noi, che abbiamo addirittura vissuto come un successo la sola pubblicazione da parte di una testata a risonanza nazionale.
    Un saluto cordiale a tutti.
    Nino

  • Vincenzo Cipriani |

    Ciao,
    senti anche io ho battibeccato con Ballardini e arianna, e credo di avere anche io espreso alcune ragioni che si affiancano pienamente alle tue, che condivido.
    Dopo averci un po’ riflettuto ne aggiungo un’altra, di ragione. Non per polemica ma per dare un contributo alla discusione e riavvicinarmi al punto di vista di chi ci ospita. E’ infatti vero che, e qui mi piacerebbe una conferma, se dovessi chiudere in un solo aggettivo tutta la vicenda, potrei scegliere “dilettantesca” a livello di abilità comunicative s’intende, non per i contenuti che volevamo trasmettere. Sì, una cosa un po’ “fatta in casa”. Quella casa tuttavia nella quale (e questa è comunicazione), nelle lettere che in varie occasioni i vertici ci hanno recapitato, ci continuavano a far intendere di vivere. Insomma, le missive del top management aziendale inizia(va)no con il tono del padre di famiglia che scrive ai figli dalle trincee di Tobruk la sera prima della battaglia decisiva, tono che si è acuito dopo le note vicende fiscal-giudiziarie. Sinceramente (e ho avuto modo di commentarlo e ricevere risposta nel forum aziendale dedicato allo scopo), a fronte di questi toni non eravamo stati molto preparati al fatto che il papà, inaspettatamente ritornato, come primo provvedimento ci sbattesse fuori di casa.
    E’ una specie di metafora, non so se riuscita, ma serve a indicare che tanto risentimento, nei commenti che leggo, si giustifica anche con il fatto che spesso la comunicazione aziendale (in generale, non solo la nostra), si è appoggiata sui sentimenti, che credo siano una ottima leva, ma un po’ pericolosa, troppo profonda per essere utilizzata così, senza una analisi globale delle conseguenze prima di tutto negative, oltre a quelle positive. Ecco la lezione di comunicazione che ho imparato.
    Ma ne ho imparata ancora una, da Ballardini e arianna, quella per la quale se vogliamo ulteriore visibilità occorrerà inventarsi qualcosa si simile al Blendtec di facebook. Non è uno scherzo, ma un’azienda che si è fatta pubblicità a costo zero. Non la butto lì dicendo “pensiamoci”. Ci comincio a pensare da subito.

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