Rottamare la classe dirigente

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Da anni sostengo che il problema principale dell'Italia sia la sua classe dirigente, impreparata, arrogante, irresponsabile. È un problema che esiste da molto tempo, diciamo dal dopoguerra, e non da oggi: il berlusconismo ha solo reso evidente (e in molti casi aggravato) ciò che era già incancrenito. Perché qui da noi la ricostruzione è avvenuta con l'assistenzialismo americano e quindi non è mai cresciuta una classe dirigente responsabile che sa quello che fa perché ha fatto esperienza prima di tutto sulla propria pelle. Il risultato è che da noi le persone preparate fanno più fatica ad affermarsi rispetto a ciò che avviene in altri paesi perché fin dall'inizio, in Italia, i posti dirigenziali vengono occupati da politici o dai loro protetti, con un preciso criterio meritocratico: i sottoposti devono essere sempre più mediocri del capo (che in genere è già piuttosto mediocre) perché il capo non deve sfigurare al confronto, deve apparire più preparato e, appunto, più "autorevole". Va da sè che la mancanza di autorevolezza data dall'impreparazione e dalla mediocrità di queste persone, si trasformi fatalmente in autoritarismo.

Il modello del manager "all'americana", come si diceva allora, si afferma in Italia negli anni 80, il periodo della "Milano da bere", intorno al paradigma di leadership, ovvero "capacità di essere leader". E da qui si è sviluppato e si è diffuso un ciarpame che non ha nulla a che fare con le reali capacità gestionali richieste al dirigente, ma solo con il suo "stile" comportamentale. Il termine leadership è diventato sinonimo di un decisionismo di facciata, di uno stile di comunicazione arrogante e condito inutilmente da un'improponibile percentuale di termini americani rimasticati dal gergo del management, perfino di un modo di vestire "manageriale" (unica eccezione, Marchionne che con le sue felpe e i suoi maglioncini tenta di imitare almeno esteticamente lo stile di Steve Jobs).

Questa ridicola carnevalata va avanti da trent'anni ed è esattamente ciò che rende inutili le verifiche sul rendimento dei dirigenti italiani che continuano a uscire da scuole di management dove imparano tutto meno che la capacità di gestire cose e persone e la capacità di assumersi le proprie responsabilità. In questo campo s'è visto veramente di tutto: inutili seminari di stampo paramilitare (in alcuni casi mutuati perfino dalle arti marziali), corsi di autostima, camminate sui tizzoni ardenti, coaching individuale e di gruppo e altre novità all'ultima moda, ma queste discipline non hanno inciso minimamente sul rendimento professionale dei nostri manager visto che continuano imperterriti a mandare in bancarotta le aziende, a non saper gestire le crisi (magari nonostante i seminari di specializzazione sul crisis management), a non saper gestire le persone. E soprattutto, continuano a non saper creare prodotti innovativi capaci di competere sul mercato: il dirigente italiano non si rimette mai in discussione, non si dimette. Piuttosto mantiene lo stesso prodotto perdente sul mercato e le perdite le tampona risparmiando sulla forza lavoro, mandando in cassa integrazione gli operai. Ma lui non se ne va.

Allora perché i nostri dirigenti, sia pubblici sia privati, nonostante parlino nel gergo dei manager, nonostante facciano costosissimi corsi di aggiornamento a spese delle aziende o dei ministeri, non hanno nessuna, nessunissima "leadership"? La risposta è in quanto ho scritto più sopra: perché non vengono scelti secondo criteri meritocratici. Perché spesso sono dei mediocri. E se è carente il "materiale di base" nessun corso di formazione o di aggiornamento può trasformare dei mediocri in veri dirigenti. A cosa serve dunque la "leadership" se poi non si traduce in risultati positivi per l'azienda e per la comunità? È quello che dev'essersi chiesto Andrea Vitullo prima di affrontare il suo ultimo saggio intitolato esplicitamente Leadershit, appena pubblicato da Ponte alle Grazie.

L'autore, partner di Inspire e già marketing manager nelle multinazionali, ha trovato una risposta che, per chi come me si occupa di marketing strategico e di innovazione, è una vera boccata d'ossigeno, uno spiraglio di luce in un'epoca di oscurantismo aziendale e produttivo. In buona sostanza Vitullo invita ad abbandonare il mito pernicioso della leadership, a smontare questo meccanismo perverso che ormai non produce altro che danni. Meglio cambiare modello, meglio abolire proprio la leadership con tutto quello che comporta. Siamo nella società liquida di Baumann, siamo nell'era dell'intelligenza connettiva, che senso ha mantenere a tutti i costi quel verticismo che appartiene ormai alla preistoria dell'era industriale? Un libro che non va solo letto ma anche regalato. Possibilmente a chi dirige. Intanto, il dibattito su questo tema cruciale per il nostro futuro è già iniziato.

  • Bruno Ballardini |

    Ah sì? Non sapevo. E cosa dirigerei, di grazia?

  • Vinka |

    ballardini, anche tu fai parte della “classe dirigente”!

  • Laurence Hopper |

    Sono completamente d’accordo. Il problema dell’italia viene dalla mancanza di esempio da parte dei leader (non tutti). Il manager professionale italiano non da informazioni e si chiude in ufficio per non dover confrontarsi con i dipendenti. Non sa motivare, ne spiegare la strategia aziendale (se c’é), non ascolta le idee che vengono dal basso perché il modello hierarchico e inculcato e azioni di “empowerment” sono visti con sdegno dal alto. In queste circostanze si lavora al minimo. L’avanzamento e la carriera non sono possibili, la busta paga molto magra e la schiera dei raccomandati fitta. Solo nelle società padronali si ha più di leadership ma l’avanzamento e spesso impossibile perché la famiglia (padrone, figlie ecc) comandano. Comunque i problemi di leadership sono molto più apparenti nelle grandi ditte Italiane che in quelle piccole e padronali che almeno hanno una guida e una strategia e conoscenza di mercato con ideologie di profitto che spesso manca nei manager delle grandi ditte che si perdono in politiche interne e aiuti agli “amici” o scambi di favore che spesso sono a favore del manager e non della ditta. Nelle grosse ditte ci sono troppi manager con responsabilità limitata che cercano di fare vedere che fanno qualche cosa. Mentre in quelle padronali tutti i manager devono e sono
    li per fare risultati – non possono fare finta – il padrone sa quello che succede. Anche se non e molto moderno il sistema padronale almeno funziona ed e competitivo sul mercato internazionale. Li, un minimo di leadership c’é.

  • g.ammoscato |

    condivido il pensiero espresso dal sindaco di Firenze e condiviso da Raffaella Nunziata.
    Bisogna che questi brontosauri della politica trasferirli nello spazio oltre le galassie note e sconosciute

  • raffaele nunziata |

    Si è associato in maniera delicata ma dall’alto del suo scranno Papa Benedetto XVI. Va rottamata la nostra classe dirigente( i dirigenti del PDL, del PD, della Lega, etc) . Pare tanto evidente che anche la Chiesa, da sempre attenta alle esperienze tramandate dai più anziani, sente il bisogno di manifestarlo pubblicamente con la voce del Capo in testa della Chiesa. Siamo alla frutta. Sembra davvero difficile il cammino del nostro Paese. Per la quinta volta in tre anni si è fatto un decreto per lo sviluppo che porterà solo più confusione e qualche rialzo di tariffe. Sorpresa, si fittano le spiagge per novant’anni e questo crea sviluppo? Si fa uno sciopero inutile il venerdì e questo crea sviluppo ( cgil fatta da pensionati che rubano il futuro ai loro figli e di associati che non hanno mai avuto un lavoro tranne quello nella cgil)? Di lavoro parlano un po’ tutti ma è chiaro che sono solo parole ( chi ha veramente bisogno deve darsi da fare in nero, come dipendente e/o come autonomo, lasciando da parte dignità e onestà). Un altro capitolo è l’attacco al Capo dello Stato che ha solo chiarito che l’attuale governo e la maggioranza sono frutto di ribaltone parlamentare. Il ribaltone lo ha fatto il Premier assumendo parlamentari eletti nei partiti di opposizione. Un’altra decine di sottosegretari ribaltonisti. Qualora fra qualche mese ci fosse un cambio di maggioranza parlamentare, con governo e premier diversi, nessuno potrebbe accusare Napolitano di essersi posto contro la volontà dei cittadini, nè di aver autorizzato ribaltoni. Berlusconi ha fatto il ribaltone e deve assumersene la responsabilità di fronte ai cittadini italiani. Il parlamento di ribaltonisti è ancora vivo. Infine c’è la Sinistra parlamentare è un vecchiume di ex-dc, ex-pci, ex-psi, con un quarto di secolo di permanenza in parlamento e si lamentano se Renzi ( sindaco di Firenze 35enne) intende lanciarli nello spazio dimenticato.

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