Possiamo ancora darci delle arie?

Sarà il caldo, ma proprio non riusciamo a capire come mai certe idee geniali vengano sempre più spesso agli altri e non a noi. Il massimo che i nostri imprenditori riescono a fare è spostare la produzione in Cina per risparmiare soldi ma continuando a fabbricare prodotti vecchi. Cosa dovremmo fare allora? Semplice: basterebbe spendere un po' di soldi nella ricerca. Esattamente quello fanno gli inglesi. Sir James Dyson, industrial designer nato a Norfolk nel 1947, oggi a soli 63 anni si ritrova miliardario perché i soldi li ha spesi bene, cioè investendo su idee nuove. Ha riunito 500 ingegneri in un'azienda snella e innovativa, con una filosofia molto simile a quella di Apple e il successo è arrivato subito con brevetti che hanno rivoluzionato il campo degli aspirapolvere. E oggi il suo "Air Multiplier" (moltiplicatore d'aria) sta per invadere il mercato mandando in cantina milioni di ventilatori a pale ormai obsoleti. È un anello misterioso, una specie di "Stargate", da cui esce un flusso d'aria 15 volte più potente ed omogeneo di quello di un ventilatore comune, con un consumo di soli 40 watt. Il principio su cui si basa è la creazione di una tromba d'aria in miniatura, in pratica un piccolo tifone addomesticato. Di fronte a un'idea così semplice e alla risposta che sta ottenendo dal mercato, fa male pensare che in Italia non ci sia una politica che favorisca e sostenga l'innovazione vera (non quella finta). Ah già, dimenticavo: non ne abbiamo bisogno perché abbiamo il famoso genio italico, quello che all'ultimo momento con un colpo di reni sorpassa tutti. Il fatto è che con questa convinzione siamo rimasti indietro e ci diamo delle arie senza aver fatto niente, mentre ormai all'estero hanno tutti gli strumenti per darsele sul serio. Le arie.

  • Bruno Ballardini |

    Infatti, Marco. Il fatto è che quando si parla di “investire in ricerca” da noi si intende il sogno dell’imprenditore medio di ricevere dallo Stato finanziamenti a pioggia che gli evitino di dover investire (e rischiare) di suo come invece accade in tutti gli altri paesi. E viceversa finanziare l’università significa finanziare i rettori delle università e rispettive sotto-gerarchie baronali con le loro “politiche scientifiche” obsolete e anacronistiche, e non direttamente chi fa ricerca. Occorre uscire da questa doppia trappola.

  • Marco.Baccanti |

    Certo che servono piu’ soldi alla ricerca.
    Ma se nel sistema attuale alimentassimo piu’ risorse alla ricerca non genereremmo piu’ prodotti innovativi e piu’ competitivita’ per le imprese.
    Genereremmo forse piu’ pubblicazioni scientifiche, piu’ posti per ricercatori.
    Cose giuste e sacrosante, senza dubbio.
    Ma non illudiamoci che siano quelle che servono per vedere arrivare sul mercato nuovi prodotti made in Italy veramente innovativi

  • Giovanni |

    Beh le idee geniali vengono a tutti, solo che altrove c’è l’humus affinché attecchiscano mentre in Italia c’è un’arsura in gran parte generata dalla politica messa in atto che non premia certo l’innovazione o le idee geniali.
    Basti dire che nell’anno della crisi in Francia e Germania hanno moltiplicato i fondi alla ricerca mentre in italia li hanno tagliati. Se non è un segnale forte questo mi domando cosa possa esserlo.
    Tuttavia dobbiamo anche dire che in Italia i soldi della ricerca servono, nella maggior parte dei casi, solo a dare liquidità a gente parente di e amica di che realmente NON produce nulla di utile, se questo non fosse vero non assisteremmo alla fuga dei cervelli in atto da anni.
    Questa è la mediocre Italia che non genera futuro.

  Post Precedente
Post Successivo