L’ISIS e le responsabilità dei giornalisti

In tutte le guerre la prima vittima è sempre la verità. Soprattutto oggi che si combattono proxy war, cioè “guerre per procura”, i cui veri protagonisti non sono certo le forze apparentemente schierate sul campo. Questo vale a maggior ragione per il conflitto in Siria e in Iraq, che per una buona metà è di tipo mediatico, cioè avviene su un campo di battaglia virtuale costituito da Internet e dalle notizie che ci vengono fornite da giornalisti che scrivono standosene molto lontani da quei luoghi. In un campo di battaglia come questo, in cui si scontrano fra loro propaganda e disinformazione, è impossibile che la verità possa sopravvivere. L’unica certezza che abbiamo è che siamo totalmente, costantemente disinformati su ciò che accade. Scivolano inavvertitamente nella disinformazione perfino giornalisti attenti come Corrado Formigli che nella scorsa puntata di Piazzapulita è riuscito a combinare un pasticcio mandando in onda il filmato di una manifestazione che ha avuto luogo nel 2012, spacciandolo per un fatto avvenuto in questi giorni. La qual cosa, come minimo, ha fatto incazzare gli operatori turistici (anche italiani) che lavorano in Tunisia perché si vedono annullare improvvisamente le prenotazioni, come ci ha spiegato lo staff del sito d’informazione Tunisia in Red.

Dalla manipolazione involontaria si passa facilmente a quella consapevole, curiosamente organica alla visione del conflitto dal punto di vista dell’amministrazione USA. Si comincia con le piccole omissioni, come la vicenda della giornalista Serena Shim, assassinata dopo aver scoperto un traffico di camion per gli aiuti umanitari che entravano e uscivano dal confine turco con la Siria trasportando guerriglieri ISIS, vicenda su cui nessun giornalista italiano ha avuto il coraggio di indagare, e si prosegue con omissioni via via sempre più grosse. Come ad esempio la richiesta da parte del Presidente della Commissione Parlamentare per la Sicurezza e la Difesa dell’Iraq di autorizzare l’esercito iracheno a colpire gli aerei che forniscono armi ai terroristi ISIS, citando l’ultimo caso di un aereo non identificato vicino a Ramadi. Si poteva far finta di nulla, magari ipotizzando un eccesso di zelo (se non un abbaglio) da parte degli iracheni. Si poteva anche sorvolare sul fatto che nello stesso periodo gli Hezbollah iracheni che combattono lo Stato Islamico avessero messo in fuga un elicottero militare USA che stava rifornendo di armi l’ISIS nei pressi di Falluja, perché la notizia poteva essere “di parte” provenendo da agenzia iraniana. Invece tutto è stato confermato dopo pochi giorni: aerei di produzione americana, appartenenti all’aviazione militare del Qatar, sono stati avvistati e fotografati mentre rifornivano di armi l’ISIS. Ma il Qatar non era un alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente? E allora? E allora anche su questa vicenda è calato il più totale silenzio stampa.

Da noi si preferiscono le chiacchiere da bar sport, i talk show, con ospiti che ovviamente ne sanno quanto i telespettatori, piuttosto che cercare di informare veramente. Non è necesssario andare a fare un servizio da Kobane, come ha fatto Formigli, per scoprire che laggiù si spara sul serio! E dov’è l’informazione? Molto più utile sarebbe perfino restare a casa, ma incollati ai canali dell’ISIS come fanno altri (e come abbiamo fatto anche noi per un libro che uscirà a breve), munendosi magari di traduttori dall’arabo per monitorare e interpretare tutte le incongruenze di questa guerra. E dire che gli spunti non mancherebbero. Nessuno ha approfondito, ad esempio, le dichiarazioni dell’ambasciatrice dell’Unione Europea in Iraq, Jana Hybaskova, secondo cui alcuni paesi europei acquisterebbero petrolio di contrabbando dall’ISIS. Niente. Nemmeno un’intervista. Come d’altra parte nessuno ha voluto indagare ulteriormente sulle sconvolgenti dichiarazioni di un coordinatore dell’ISIS raccolte a fine gennaio da Mike Giglio, free lance che lavora a Istambul: l’uomo gli ha annunciato che ben 4000 combattenti sono stati fatti passare dal confine turco e si troverebbero già in Europa per una grande operazione segreta che scatterà quando sarà il momento. Uno swarm attack?

In questo clima di confusione, a cui contribuiscono non poco i giornalisti, il Governo finisce per adottare misure assolutamente ridicole, come ad esempio l’aumento della sorveglianza ai monumenti ordinato da Alfano (rivelatosi inefficace perfino verso gli ultrà del calcio che il 19 febbraio hanno tranquillamente rovinato la fontana della Barcaccia a Roma). Ma se i giornalisti prestassero più attenzione a notizie come quella riportata da Giglio, se le collegassero a dichiarazioni successive di fonti arabe per cui si sta preparando con i lupi solitari un attacco in Europa più grande di quello delle torri gemelle, alla notizia del laptop sequestrato ad agosto con istruzioni per creare bombe batteriologiche, e a quella del recente furto di armi chimiche dall’arsenale di Gheddafi in Libia (non che non ne abbiano già), forse si aiuterebbe Alfano ma anche i nostri servizi segreti a prendere misure adeguate per tenere sotto controllo bersagli ben più importanti come acquedotti e metropolitane, e non i monumenti. Invece, i nostri giornalisti, che non si documentano mai su nulla perché non ne hanno il tempo, continuano imperterriti ad alimentare l’inutile paura di un’invasione di gommoni o di ipotetici attacchi missilistici con Scud-B che, come si sa, hanno una gittata di 280 Km e quindi al massimo arrivano a Lampedusa, mentre la Sicilia dista 450 Km. da Sirte.

In un momento come questo, occorre maggior rigore nell’informazione, cosa di cui gran parte della nostra stampa pare sprovvista. Non c’è nessuno che spieghi come mai ci troviamo “improvvisamente” in mezzo a questa tragedia, nessuno che vada oltre l’orrore e lo sdegno provato per i filmati di propaganda dell’ISIS e fornisca alla gente strumenti per non perdere la lucidità. Perché è esattamente questo che i terroristi vogliono.

 

(Tra parentesi, ecco l’intervista che Richard Engel della NBC ha fatto a fine gennaio ad Ahmad Rashidi, studente di medicina britannico sfuggito all’ISIS dopo un mese di prigionia. Il giovane rivela che i terroristi dello Stato Islamico starebbero preparando in Europa un attentato più grande di quello dell’11 settembre. Ne avete per caso sentito parlare da qualcuno dei nostri giornalisti?)